viernes, 14 de marzo de 2014

Un anno con Papa Francesco, la Chiesa dalle porte aperte

Il 13 marzo di un anno fa veniva eletto alla Cattedra di Pietro il cardinale Jorge Mario Bergoglio. Iniziava così il Pontificato di Papa Francesco, il 265.mo Successore di Pietro, un mese dopo la storica rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI. Ripercorriamo alcuni passaggi chiave di questo anno straordinario, un tempo di misericordia, nel servizio di Alessandro Gisotti: 

“Fratelli e sorelle buonasera!” Il Pontificato dirompente di Francesco inizia con il saluto più normale. Eppure non è un controsenso, perché quella di Jorge Mario Bergoglio è la rivoluzione della semplicità evangelica, dell’umiltà, della normalità che sorprende e scandalizza. I primi gesti del nuovo Papa – il primo con il nome del Poverello d’Assisi, il primo gesuita, il primo dall’America Latina – rompono schemi e consuetudini, a partire da quel chinarsi, la sera dell’elezione, per chiedere la benedizione del popolo. Vescovo e popolo, appunto, un binomio che Papa Francesco indica subito come “programma” del suo ministero petrino. Il nuovo Vescovo di Roma pensa a una Chiesa che “cammina, edifica e confessa”, come sottolinea nella prima Messa da Romano Pontefice, il giorno dopo l’elezione, in Cappella Sistina. E sogna una “Chiesa povera” come confida ai giornalisti di tutto il mondo - ricevuti in Aula Paolo VI - ricordando l’esortazione che, in Conclave, gli aveva rivolto il suo amico cardinale Hummes: 

“'Non dimenticarti dei poveri!'. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. L’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il Creato, in questo momento in cui noi abbiamo con il Creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. (Incontro con i giornalisti, 16 marzo 2013)

Un’opzione preferenziale per i poveri, che Papa Francesco “ridice” con la sua sobrietà, con la scelta di
vivere a Casa Santa Marta, di non utilizzare auto di rappresentanza per gli spostamenti, nel testimoniare insomma – come afferma nella Messa di inizio ministero petrino – che “il vero potere è il servizio”. E soprattutto con il richiamo continuo, in particolare nella sua storica visita ad Assisi, a spogliarsi della “mondanità spirituale” che porta “al peccato più forte, quello dell’idolatria”. Per rifuggire questa tentazione, osserva, dobbiamo lasciarci amare da Dio che è Padre, abbandonarci nel suo abbraccio. Proprio al tema della misericordia, iscritta nel Dna oltre che nel motto episcopale del vescovo Bergoglio (Miserando atque eligendo – “…lo guardò con sentimento di amore e lo scelse”), è dedicato il primo Angelus di Francesco, in una Piazza San Pietro strabocchevole di fedeli. “Dio – rammenta – non si stanca mai di perdonarci”:

“Lui, mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti”. (Angelus 17 marzo)

Un messaggio che il Papa porta personalmente ai giovani carcerati di Casal del Marmo, il Giovedì Santo. La misericordia di Dio ci trasforma, rassicura Francesco, ci dona una speranza che è più forte degli errori compiuti nel cammino della nostra vita. Esortazione che il Papa estende a tutti, specialmente alla gioventù, in un tempo segnato da sfiducia e mancanza di punti di riferimento: “E per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù”. (Domenica delle Palme, 24 marzo 2013)

E la speranza si annuncia con il sorriso. Impossibile, per Papa Francesco, “un cristiano triste” con “la faccia da funerale”. Così come è impensabile un Vangelo che resti chiuso nel recinto delle proprie comunità. Bisogna andare nelle “periferie esistenziali”, esorta, laddove “c’è tanta sofferenza”. Non a caso, le prime parrocchie visitate dal nuovo Vescovo di Roma sono in aree periferiche della città. “Meglio una Chiesa incidentata – ne è convinto – che una ammalata di autoreferenzialità”. Tutti i battezzati, ripete instancabilmente, sono chiamati ad essere “discepoli e missionari”:



Leggere il resto delle informazioni sulla fonte principale: vatican.va...

Leia em português...

Lire en français...

Leer en español...

Read in english...

Segui il link per leggere sul nostro site CJM...

No hay comentarios:

Publicar un comentario